“La solitudine è una città e la abitiamo tutti”

Solitudine! Sempre più spesso si usa questo termine, ma che cos’è la solitudine? La solitudine è un rincontrare se stessi, ascoltarsi, comunicare con la propria anima e non dev’essere motivo di tristezza. È un momento di riflessione. Essa può essere crudele e distruttiva se la trasformiamo in una nemica, anche perché la società in cui viviamo non ci aiuta a percepirla in modo diverso. Sin da piccoli veniamo abituati a pensare che stare da soli sia negativo, un segno che distingue le persone, l’une dalle altre.

La solitudine ci rende liberi o ‘mortalmente’ infelici? Se vissuta consapevolmente e in maniera idonea, la risposta giusta è sicuramente la prima. Altrimenti, al pari di patologie croniche considerate ben più gravi, la solitudine ci costringe a una quotidianità tempestata di tristezza e afflizione, gravemente dannosa per il nostro organismo

Stare con gli altri fa bene alla salute: gli amici, un rapporto di coppia soddisfacente, una famiglia amorevole tengono alla larga non solo la solitudine, ma pure le malattie. Una vita di relazione appagante è un’arma di prevenzione efficacissima, stando a indagini degli esperti dell’American PsychologicalAssociation: in caso di problemi aiuta a sopportare lo stress, quando tutto fila liscio favorisce la crescita personale.

«Una buona rete sociale è un supporto affettivo, psicologico e materiale che aumenta la resilienza, ovvero la capacità di far fronte alle difficoltà» osserva Bernardo Carpiniello, presidente della Società di Psichiatria. «Ciò non solo protegge da disturbi mentali e dell’umore, ma riduce anche la probabilità di conseguenze fisiche da stress: molte patologie organiche sono almeno in parte provocate da disagi psicologici. I legami con gli altri hanno un grande valore a tutte le età, ma soprattutto gli anziani sono fragili di fronte all’isolamento».

Più “a rischio” anche l’adolescenza, non solo quindi anziani e disabili, quando gli effetti della solitudine possono essere più acuti, e chi deve fare i conti con una malattia: i pazienti con tumore che non sono soli, per esempio, affrontano il percorso di cura con minori sofferenze emotive. «Non conta però la quantità, ma la qualità dei rapporti. Vale per tutte le relazioni, perfino fra medico e paziente occorre instaurare un legame proficuo: le terapie riescono meglio, se c’è un dialogo vero».

Si può “curare” la solitudine?

Un team di ricerca avrebbe individuato la molecola che ci fa stare male quando rimaniamo per lungo tempo da soli. Una vecchia medicina potrebbe essere la base della cura

In passato numerose indagini hanno dimostrato che lunghi periodi di isolamento possono indurre un’elevata gamma di disturbi nella salute delle persone, tra cui la depressione. Ora, un team del Caltech (California Institute of Technology) sembra avere isolato per la prima volta quella che potrebbe essere definita la “molecola della solitudine”: si tratta di un neuropeptide prodotto dal cervello, la cui identificazione potrebbe portare anche allo sviluppo di un appropriato “antidoto”.

IN CERCA DI INDIZI 

Per studiare nel dettaglio gli effetti della solitudine sull’organismo, la squadra guidata dal professor David Anderson ha utilizzato un gruppo topi, animali con un’indole se possibile ancora più sociale degli esseri umani. Ogni roditore del gruppo campione è stato tenuto in isolamento per un periodo di due settimane, durante il quale l’aumento di aggressività e di risposte negative agli stimoli è stato analizzato dal punto di vista biochimico, andando a caccia di una qualche sostanza che giustificasse il cambio di comportamento.

LA MOLECOLA DELLA SOLITUDINE 

Anderson e colleghi si sono così resi conto che la solitudine forzata determina un’iperproduzione di un neuropeptide chiamato Tac2/NkB, ritenuto colpevole dell’aggressività e dello stato di stress dei topi, condizioni che nei casi più gravi persistono anche una volta che l’animale viene reinserito tra i propri simili. Le osservazioni metterebbero in evidenza che la molecola viene prodotta un po’ ovunque nel cervello, andando a disturbare i comportamenti di cui ciascuna regione cerebrale è responsabile.

Per contrastare l’azione di Tac2/NkB è stato utilizzato un farmaco, un tempo usato nel trattamento della schizofrenia, che nonostante non può ancora essere definito un farmaco “anti-solitudine” è ingrado di contrastare gli effetti negativi dell’esclusione sociale.

HA SENSO UN FARMACO ANTI-SOLITUDINE? 

La progettazione di una pillola da comprare in farmacia rimane un’ipotesi ancora remota ed è subordinata a futuri approfondimenti sull’argomento, che coinvolgano possibilmente degli esseri umani. Un rimedio anti-solitudine andrebbe inoltre ad agire sui sintomi, senza andare alla radice del problema, che avendo origini sociali, non può essere affrontato solo dal punto di vista clinico.

Se vi dovesse capitare di incontrare la solitudine nella vostra vita, come pensate di reagire? Smettereste di godervi la vita e di viverla appieno solo perché non avete nessuno al vostro fianco?

“Ammettere di essere soli è una delle cose più difficili da fare, ma la solitudine è senza dubbio meglio di una falsa compagnia e ci permette di sviluppare un nostro punto di vista senza limitarci a ripetere quello che pensano gli altri”.

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